Il disegno di legge sulla sicurezza pubblica, nel testo approvato al Senato, contiene tre disposizioni che nulla hanno a che vedere con la sicurezza dei cittadini, ma mirano a fare terra bruciata attorno all'immigrato irregolare. La più famosa è quella che sopprime il divieto di segnalazione all'autorità dell'irregolare che ricorra alle prestazioni delle strutture sanitarie. Mentre le altre due norme gli precludono il perfezionamento dei provvedimenti della pubblica amministrazione e la celebrazione del matrimonio in Italia.
Nella forma approvata dal Senato, il disegno di legge in materia di sicurezza pubblica, tra le tante norme in materia di immigrazione, contiene tre disposizioni che mirano a fare terra bruciata attorno all'immigrato irregolare, nulla avendo a che vedere con la sicurezza dei cittadini. La più nota è quella che sopprime il divieto di segnalazione all'autorità dell'immigrato irregolare che ricorra alle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie. Le altre due disposizioni precludono, per lo straniero che soggiorni illegalmente, il perfezionamento dei provvedimenti della pubblica amministrazione e la celebrazione del matrimonio in Italia.
LA SOPPRESSIONE DEL DIVIETO DI SEGNALAZIONE
Oggi, il divieto di segnalazione del clandestino che si rivolga alla struttura sanitaria (articolo 35, co. 5 Dlgs 286/1998) ammette una sola eccezione: il caso in cui anche per il cittadino italiano sia obbligatorio il referto da parte dell'operatore sanitario. L'obbligo di referto è disciplinato dall'articolo 365 del codice penale, che lo impone in tutti i casi in cui l'operatore abbia motivo di ritenere che sia stato commesso un delitto perseguibile d'ufficio; l'obbligo però non sussiste quando dal referto possa derivare un procedimento penale a carico dell'assistito. Queste disposizioni, attualmente in vigore,introducono una disparità di trattamento tra il criminale italiano o straniero legalmente soggiornante e il criminale clandestino: in relazione al primo, il referto può essere presentato, pur non essendo obbligatorio; in
relazione al secondo, invece, no: mancando l'obbligatorietà, il referto è senz'altro vietato.
Nell'ambito della categoria "autori di delitti perseguibili d'ufficio", la soppressione del divieto di segnalazione sarebbe certamente in grado di ristabilire parità di trattamento tra nazionali e stranieri regolari, da una parte, e stranieri clandestini, dall'altra. E nessuno avrebbe niente da ridire. Il problema è che finirebbero inguaiati anche i clandestini che autori di delitti non sono. In particolare, paradossalmente, finirebbero inguaiati anche i clandestini vittime di delitti. Il disegno di legge, nella forma approvata dal Senato, introduce infatti il reato di immigrazione illegale. Si tratta di un reato di natura contravvenzionale, non di un delitto, perseguibile d'ufficio e sanzionato con un'ammenda, sostituibile con l'espulsione. L'introduzione di tale reato espone l'immigrato irregolare a un altissimo rischio di denuncia. E questo non in base all'articolo 365 cp perché il soggiorno illegale non è un delitto, bensì al meno severo, ma più generale, articolo 362 cp. Quest'ultimo, infatti, obbliga ogni incaricato di pubblico servizio a denunciare qualsiasi reato perseguibile d'ufficio di cui venga a conoscenza nell'esercizio o a causa del servizio, inclusi quindi quelli di natura contravvenzionale.
Trasferito il problema dall'obbligo di referto in capo ai soli operatori sanitari a quello di denuncia in capo a qualunque incaricato di pubblico servizio, le dichiarazioni di non disponibilità alla denuncia dei medici, ancorché cariche di forza simbolica, rischiano di risultare assolutamente insufficienti, in caso di approvazione di queste disposizioni. La denuncia verrebbe inevitabilmente dalle amministrazioni delle Asl. Già oggi sono tenute, a fini di rendicontazione, a trasmettere al ministero dell'Interno i dati sulle prestazioni erogate a stranieri in condizioni di soggiorno illegale. (1) Benché debba essere effettuata in forma tale da rispettare l'anonimato degli utenti, una volta soppresso il divieto di segnalazione, la comunicazione smaschererà inevitabilmente l'amministrazione sanitaria che non abbia provveduto, in precedenza, a denunciare il clandestino. Ed è difficile immaginare che dirigenti e impiegati di una Asl accettino di mettere a repentaglio la propria carriera e il proprio portafoglio in nome dell'obiezione di coscienza.
Risultato: gli immigrati illegalmente soggiornanti, per il timore/certezza di essere denunciati, non ricorreranno per tempo alle cure né, soprattutto, accetteranno il rischio di un ricovero. Con quali esiti per la loro e la nostra salute non è difficile immaginare: si pensi solo al caso di una meningite non curata.
Soluzioni? La più efficace è ovviamente quella di emendare il disegno di legge sopprimendo la soppressione. Ove però risulti necessario salvare gli equilibri interni alla maggioranza di governo, una via d'uscita accettabile potrebbe essere la seguente: invece di cancellare il divieto di segnalazione, si estenda l'eccezione al divieto, oggi limitata al caso in cui il referto è obbligatorio, a tutti i casi in cui il referto è consentito. In questo modo, si ristabilirebbe la parità di trattamento tra criminali, senza danno per la salute di immigrati e italiani.
*Nell'ipotesi, malaugurata, in cui il disegno di legge dovesse invece essere varato così com'è, una pezza potrebbero metterla le Regioni: nell'ambito delle loro competenze, potrebbero diramare direttive con le quali si vieti la denuncia di cui all'articolo 362 cp sulla base del fatto che la semplice possibilità che sia effettuata costringerebbe il clandestino a sottrarsi alle cure, provocando un danno grave per la propria salute e per quella di tutti. Si tratterebbe, in altri termini, di garantire a dirigenti e dipendenti delle Asl che lo stato di necessità li solleva (articolo 54 cp) da qualunque obbligo di denuncia, stante il carattere particolarissimo del servizio da loro erogato.
IL DIVIETO DI ACCESSO AGLI ATTI DI STATO CIVILE
Le altre disposizioni dibattute in questi giorni introducono l'onere di dimostrazione della regolarità del soggiorno per lo straniero che voglia ottenere un provvedimento dalla pubblica amministrazione o la celebrazione del matrimonio in Italia.
La prima disposizione è formulata come modifica di quella vigente, che esonera dalla dimostrazione in caso di perfezionamento di atti di stato civile, quali la registrazione della nascita e della morte, il riconoscimento del figlio naturale, il matrimonio. (2)
Benché il testo della modifica contenuta nel disegno di legge risulti piuttosto vago, il confronto con la disposizione attualmente in vigore impone l'interpretazione più restrittiva: all'immigrato irregolare non sarà possibile il compimento di tali atti. Le conseguenze sarebbero gravissime, come è stato denunciato dall'Associazione studi giuridici sull'immigrazione in un appello ai parlamentari (www.asgi.it). In particolare, gli immigrati irregolari potrebbero trovarsi nell'impossibilità di registrare la nascita del figlio, che rischierebbe di essere dichiarato in stato di abbandono e, quindi, adottabile. L'ostacolo dell'irregolarità potrebbe essere aggirato con la richiesta di un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di cura da parte della madre e del marito, ma solo a condizione che possiedano un passaporto valido e, comunque, con rischio di successiva espulsione. Sarebbe invece inevitabilmente precluso il riconoscimento del figlio al genitore naturale clandestino, per il quale non è prevista alcuna possibilità di rilascio di un permesso temporaneo: si pensi alle conseguenze, per padre e bambino, in caso di morte di parto della madre.
Il governo si è affrettato ad affermare che non vi è alcuna intenzione di produrre effetti di questo genere. Se l'affermazione è veritiera, c'è una sola cosa da fare: modificare il disegno di legge in modo da preservare l'esonero relativo al compimento di atti di stato civile.
Nessuna possibilità di interpretazioni capziose offre però la disposizione che modifica l'articolo 116 del codice civile imponendo la dimostrazione di regolarità del soggiorno ai fini della celebrazione del matrimonio in Italia da parte dello straniero.
Impedire la celebrazione del matrimonio allo straniero che soggiorna illegalmente, oltre a essere una misura degna delle leggi razziali, può avere un impatto fortissimo sui diritti fondamentali del cittadino italiano e del cittadino dell'Unione europea. Il primo, soprattutto, ove decida di contrarre matrimonio con uno straniero illegalmente soggiornante, vedrebbe preclusa la possibilità di farlo nella propria patria. Con buona pace della Costituzione (articolo 29) e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (articolo 12). Va osservato poi come il coniuge straniero di un cittadino italiano o di un cittadino dell'Unione europea abbia un diritto di soggiorno in Italia (nel secondo caso, a condizione che dello stesso diritto sia titolare il cittadino dell'Unione), molto più forte del normale permesso di soggiorno.
La Corte di giustizia dell'Unione europea ha già chiarito con la sentenza C-127-08 che ai fini del diritto di ingresso e di soggiorno del familiare si prescinde dalle modalità, legali o illegali, di ingresso, nonché dalla data e dal luogo in cui si è costituito il legame familiare: il legame può quindi essersi costituito sul posto, mentre lo straniero soggiornava illegalmente. Lo stesso vale, nel nostro ordinamento, per il coniuge straniero di cittadino italiano, secondo l'articolo 19, co. 2 Dlgs 286/1998 e l'articolo 23 Dlgs. 30/2007. Richiedere la regolarità formale del soggiorno per il compimento di un atto che conferisce, a prescindere da qualunque adempimento formale, il diritto di soggiorno, è dunque privo di logica. Se questa restrizione non verrà cancellata dal Parlamento, sarà presto giustiziata dalla Corte costituzionale.
(1)Articolo 43 Dpr 394/1999.
(2)Articolo 6, co. 2 Dlgs 286/1998.
24.03.2009
Sergio Briguglio
www.lavoce.info
domenica 29 marzo 2009
ORA INSICURI SONO I DIRITTI FONDAMENTALI
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