Veltroni è a Parigi per il summit dei premi Nobel per la pace, di cui è copresidente. Si premia Bono degli U2. Ma la circostanza non gli vale il buon umore. «C'è una singolare e terribile distanza tra quello di cui discute la politica italiana e quello di cui discutono le famiglie. Il presidente del Consiglio annuncia di voler cambiare la Costituzione alla presentazione di un libro, riceve le gemelle dell'Isola dei Famosi, fa corse per consensi elettorali. Intanto il governo è fermo da mesi. Dopo gli annunci-spot, nessun segno di vita di fronte alla più grave crisi che la nostra generazione abbia mai conosciuto, che cambierà il nostro modo di vivere. Vorrei essere chiaro: non credo che questo governo sia in grado di affrontarla».
Che cosa intende? «Berlusconi non è all'altezza di questa crisi. Di fronte alla drammaticità di ricadute sociali senza precedenti dalla Grande Depressione di cui abbiamo letto sui libri, Berlusconi si occupa di tutt'altro. Di stravolgere la giustizia. Di cambiare i direttori dei giornali e magari pure i vignettisti. Non mi si venga a parlare di analisi catastrofiste: i prossimi mesi saranno i più duri della nostra storia, basterebbe informarsi su quanti operai dell'auto faranno dicembre in cassa integrazione. Berlusconi dice che l'Italia sentirà meno la crisi. E perché mai? Con un debito pubblico più alto, metà Paese in balia delle mafie, il credito strozzato, le infrastrutture in ritardo, l'Italia risentirà della crisi più degli altri».
Berlusconi le ricorderebbe che le profezie infauste si autoavverano. «Spero non si avveri la profezia del ministro Sacconi, finita su tutti i giornali europei, e cioè il rischio di una bancarotta o di una situazione di tipo argentino. Parole irresponsabili. Ma non dobbiamo aver paura della realtà. L'Italia è in recessione. Nel terzo trimestre il pil perde lo 0,9%, mentre la Germania cresce della 0,8. La produzione industriale crolla del 6,9, e la Confindustria prevede un peggioramento a meno 11. La caduta dei consumi e la stretta creditizia tolgono ossigeno alle piccole e medie imprese; e senza di loro siamo al buio, l'Italia si ferma. Centinaia di migliaia di precari resteranno senza alcuna garanzia di futuro, impiegati e operai cinquantenni perderanno il lavoro senza avere altre opportunità, aumenteranno le sofferenze degli insegnanti a 1300 euro al mese e dei pensionati a 500. Tutti gli altri Paesi corrono ai ripari: il Giappone investe 290 miliardi di euro, gli Usa 239, la Francia 202, la Spagna 41, la Germania 23. L'Italia appena sei miliardi, peraltro coperti da nuove entrate come ha dimostrato Tito Boeri. Di fatto, nessun investimento».
Tremonti ha già ricordato che abbiamo il terzo debito pubblico al mondo. «Avrei voluto sentire le stesse cose quando si regalavano tre miliardi alla Cai, si aboliva l'Ici anche per i ceti agiati, si gettavano i soldi negli incentivi agli straordinari con le fabbriche ferme. Certo, la spesa pubblica va messa sotto controllo. Questo è il tempo del coraggio, e della cultura istituzionale. E la mia è una cultura istituzionale anglosassone, per cui maggioranza e opposizione si combattono anche aspramente, ma lavorano insieme per affrontare una crisi tanto grave. Invece il governo si muove nella logica dello scontro: provoca la Cgil, radicalizza le posizioni; gli interlocutori dell'opposizione sono "imbecilli", "stupidi", "coglioni", "stalinisti", e potrei continuare». Sareste ancora disposti a lavorare con il governo sull'economia, e sulla riforma della giustizia? «L'Italia dovrebbe trovare, come gli altri Paesi europei, il livello più alto di unità. Invece Berlusconi vive in una campagna elettorale permanente. Sulla crisi noi abbiamo proposto di collaborare nel rispetto dei ruoli di maggioranza e opposizione, e Berlusconi ha risposto con tre parole che alle orecchie degli italiani suonano molto spiacevoli: "Me ne frego". Non esiste al mondo un altro capo di governo che avrebbe detto così. Sulla giustizia avevamo proposto un tavolo con avvocati e magistrati per arrivare in 60 giorni a una riforma condivisa e non punitiva verso nessuno. E invece lui annuncia di voler cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza, in contrasto con gli appelli ripetuti del capo dello Stato e dei presidenti delle Camere. Le possibilità sono due: o è un totale irresponsabile; o cerca ogni giorno un argomento che possa scacciare dai giornali una crisi che non riesce a fronteggiare. Stiamo per entrare nell'ottavo anno di governo di Berlusconi dal '94 a oggi, e gli altri sette li ha passati come capo dell'opposizione: il politico italiano che ha occupato per più tempo posizioni di potere. L'Italia è cambiata in qualcosa in questi otto anni?».
È sicuro che la risposta giusta sia lo sciopero generale? «È la risposta fisiologica, che però io spero possa essere in futuro affrontata unitariamente dai sindacati. Non si può pretendere che i cittadini, che vedono triplicare la cassa integrazione e diminuire il loro potere d'acquisto senza che il governo intervenga su stipendi e pensioni, restino in casa a piangere. La gente non accetta di perdere lavoro e salario senza reagire». Più che il governo, per ora è il Pd ad apparire in grave difficoltà, anche per le inchieste giudiziarie di Napoli, Firenze, Catanzaro. Esiste una questione morale? «Assolutamente sì. E non lo dico ora, l'ho detto al Lingotto: è necessaria una rifondazione etica della politica. Ma non riguarda certo il Pd in misura prevalente rispetto agli altri partiti. Il 10% dei parlamentari del Pdl ha problemi con la giustizia. Berlusconi stesso ha una posizione giudiziaria complessa, allentata da incredibili leggi ad personam, e in campagna elettorale ha definito "eroe" un condannato per mafia. Non ha titoli per farci la morale».
Le inchieste sulle amministrazioni pd non le fa Berlusconi, le fanno i magistrati. «Il Pd ha migliaia e migliaia di amministratori perbene, che meritano di essere rispettati. Ma ancora non esiste una leva di amministratori del Pd, che è nato da un solo anno. E io vedo con chiarezza la necessità di innovare radicalmente rispetto a quelle vecchie logiche di persone e componenti che, specie nel Sud, preesistevano al Pd. Soprattutto nel Mezzogiorno, occorre rafforzare con grande severità e rigore il principio del fondamento etico della responsabilità politica. Per fare questo non mi importa se dovremo pagare qualche prezzo elettorale». Non vede segni di cedimento del partito? «La verità è che è in corso una campagna contro il Pd. Il Pd è un bersaglio molto facile, perché non ha il potere di minacciare la carriera di nessuno. È più difficile dire una parola contro Berlusconi che mille contro di noi. C'è un grande partito che affida alle primarie la scelta di dirigenti e candidati, e i giornali dedicano paginate a criticare e vivisezionare; ci sono partiti proprietari e partiti a conduzione familiare che decidono tutto in modo autoritario, e non c'è un solo esponente della cultura liberale che scriva una sola riga sulla totale assenza di vita democratica. Se io avessi detto del governo che è composto di imbecilli, mi avrebbero dedicato articoli di fuoco. L'ha detto Berlusconi di noi, e nessuno ha avuto obiezioni. Siamo passati dal cerchiobottismo al doppiopesismo».
Quindi sono i giornali e le tv a guidare la campagna? «Se i giornali di destra criticano la sinistra, e i giornali di sinistra criticano la sinistra, c'è qualcosa che non va...». Per questo Domenici si è incatenato davanti a «Repubblica»? «No, non c'è assolutamente una polemica del Pd con il gruppo Espresso, che svolge la sua nitida funzione critica. Quello di Domenici è stato lo sfogo, emotivamente comprensibile, di una persona perbene che non accetta di essere raccontato in altro modo. C'è, sui giornali e in tv, un conformismo moderno. Esiste un grande timore di apparire critici verso Berlusconi; anche perché Berlusconi non le manda a dire, ordina il licenziamento di giornalisti Rai, ora se la prende con Corriere e Stampa che non sono certo giornali eversivi, si permette cose che mai Obama, Sarkozy, Brown si sognerebbero. E mai che si levi una voce indignata. I tg sono squilibrati a favore del governo, e il primo caso di cui si occupa la commissione di Vigilanza Rai è Fabio Fazio. La maggioranza ha fatto con noi un unico accordo, uno solo, e non lo rispetta: contro Gianni Letta, contro la correttezza istituzionale». Non c'è però un deficit di leadership da parte sua? Non solo Villari, neppure Bassolino si dimette. «Ai dirigenti napoletani ho chiesto una forte discontinuità, una grande innovazione. Non c'è dubbio che un ciclo, che ha avuto momenti belli e importanti legati al nome di Bassolino, si sia chiuso; ed è stato Bassolino a dirlo, con grande onestà. L'anno prossimo ci sono le Provinciali. Poi si andrà alle Regionali e sceglieremo il candidato attraverso le primarie; cui spero parteciperanno anche esponenti della società civile».
I sondaggi in calo non la preoccupano? «Dal voto di aprile è venuto, viste le condizioni, un risultato molto importante: un grande partito del riformismo che l'Italia non aveva mai avuto. Ma subito sono cominciate le divisioni, i personalismi. Siamo riusciti a risalire. Abbiamo fatto una manifestazione di enorme successo al Circo Massimo, nonostante i tanti dirigenti che dicevano che era meglio non farla, i molti che prevedevano che sarebbe andata male. Abbiamo vinto in Trentino. Siamo risaliti nei sondaggi al 32%. Dal caso Villari in poi, e tralascio quanto accaduto a latere, siamo ricaduti in quel vizio autodistruttivo che da vent'anni logora il centrosinistra. Una malattia da cui bisogna guarire tutti insieme».
I dalemiani si sono battuti per indebolire la sua segreteria. «Il Pd nasce da un lungo travaglio, ed è la nostra unica possibilità. Altre non ce ne sono. Dopo un solo anno, come si è visto al Circo Massimo, abbiamo un'identità, un popolo, che merita maggior rispetto da parte del gruppo dirigente. Abbiamo un fortissimo potenziale di innovazione. E questo la destra lo sa, altrimenti non darebbe tutto questo spazio a Di Pietro. L'altro giorno, una pagina intera su Libero... È lo stesso gioco che Berlusconi faceva con Bertinotti: dargli spazio, polarizzare, individuarlo come alternativa, ovviamente non spendibile per il governo. In realtà, l'unica alternativa siamo noi. Siamo una comunità di destini. Per questo chi pensa di sottrarsi a un nostro insuccesso sbaglia. Se vinceremo vinceremo insieme, se falliremo falliremo insieme». Quale sarà il ruolo di D'Alema nel Pd? «Il ruolo che gli deriva dal suo prestigio. Darà un contributo importante a preparare la Conferenza programmatica. Non credo ambisca a ruoli di gestione. E voi giornalisti dovreste uscire da queste logiche. Siete fermi agli schemi di vent'anni fa, non vedete che una nuova generazione è già all'opera».
Aldo Cazzullo
12 dicembre 2008
www.corriere.it
venerdì 12 dicembre 2008
Veltroni: crisi senza precedenti E Berlusconi non è all'altezza
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